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Diogo Mainardi ha scritto un libro sulla paternitŕ, sulla felicitŕ di essere padri e sull'amore suscitato dalla nascita di un figlio. Tito č nato tredici anni fa con una paralisi cerebrale, a causa del terribile errore di un medico, in un ospedale di Venezia. Quando la disabilitŕ č stata diagnosticata, Diogo ha vissuto una settimana di "angoscia e terrore". Poi č successo qualcosa. Sua moglie Anna č caduta inciampando in un tappeto, Tito si č messo a ridere, Diogo si č messo a ridere, Anna si č messa a ridere. "La comicitŕ slapstick era un linguaggio che capivamo tutti. Tito cade. Mia moglie cade. Io cado. Ciň che ci unisce - che ci unirŕ sempre - č la caduta". Diogo ha capito che Tito aveva bisogno di essere amato per quello che era, senza patetismi. Ciň che ci accomuna, "disabili" e "abili", č la caduta come categoria dello spirito: siamo nati come esseri in bilico, ognuno instabile a modo suo. Questo libro č dunque anche un'accusa formidabile contro il cliché della "normalitŕ", contro la stupiditŕ umana che affiora nel mondo in tempi diversi e in modi sempre nuovi, nel mito del corpo perfetto o peggio nell'eugenetica nazista. E poiché nei suoi primi anni Tito comunicava soltanto attraverso immagini, gesti, simboli e analogie, Diogo ha adattato il suo racconto al linguaggio del figlio. In un rovesciamento radicale di prospettiva, la storia universale viene letta attraverso la storia di Tito.